
“In quell’insenatura il mondo taceva come per incanto, la spiaggia di ghiaia bianca, l’acqua del mare verdissima e chiara sugli arenili. Poche voci tra le pergole dei giardini d’agrumi. In fondo alla valletta verde dell’insenatura, sotto lo strapiombo della strada costiera c’era una piccola osteria, una stanza. C’era pronto un piatto di aguglie fritte, quei pesci lunghi col becco e la spina verdissima, tenuti al fresco con l’aceto e la mentuccia. Una bottiglia di vino nero. Ritornavamo sulla spiaggia, infilavamo la bottiglia nella ghiaia dove batteva la maretta. Mangiavamo con le mani quel pesce odoroso e silvestre, bevevamo quel vino asprigno. Eravamo felici, parlando delle nostre speranze, dei nostri timidi amori. La notte rimaneva sempre chiara. Bevendo e bevendo, parlando e parlando, una notte ci capitò d’addormentarci. Ci risvegliammo che l’aurora tingeva il cielo di rosso. L’oste, prima di andare a letto, ci aveva coperto col tappeto dell’unico tavolo della sua osteria. Questo per me è Erchie” Alfonso Gatto.
E del commendatore Giuseppe Fabbri qualcuno conserva versi relativi ad Erchie?
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Purtroppo non mi risulta.
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