Pasquale Giordano

Buongiorno Pasquale. In questa bella foto c’è tuo papà Fernando che recupera le reti dietro il tommolo con l’aiuto di tuo cugino. Possiamo definire la famiglia Giordano la ‘dinastia regnante dei pescatori di Erchie’?

Certamente, i fratelli Giordano, mio padre Fernando ed i fratelli Armando e Oreste, erano pescatori eccezionali apprezzati da tutti gli altri pescatori, quelli di Erchie ma anche dai maestri della pesca di Cetara.

Ma cominciamo da più lontano. Hai ricordi dei tuoi nonni paterni?

Mia nonna si chiamava Alfonsina Anastasia, mio nonno si chiamava Pasquale. Forse perché avevo la sua ‘puntella’, nonno Pasquale ci teneva particolarmente a me e questo, a quei tempi, significava che doveva essere esigente e severo con me. Mi osservava da lontano quando ero sulla spiaggia e interveniva con accesi rimproveri e scappellotti non appena vedeva qualcosa che non gli piaceva.

Pasquale era sempre vissuto a Erchie?

No. Era già sposato con figli quando emigrò, senza la famiglia, negli Stati Uniti per fare fortuna. Le cose gli andarono abbastanza bene e tornò in Italia per prendere la famiglia e portarla negli Stati Uniti.

Scusa l’interruzione ma sembra che il mito dell’America fosse molto in voga a quei tempi a Erchie forse per la povertà che vi regnava: anche mio nonno Andrea e mio nonno Giuseppe tentarono la fortuna in America alla fine dell’800. Ma andiamo avanti. Tuo nonno tornò con la famiglia in America?

No, perché intanto era scoppiata la prima guerra mondiale e mio nonno fu costretto a rimanere in Italia.

A Erchie, ovviamente. Quanti figli ebbero i tuoi nonni?

Sei figli, quattro maschi, Fernando, Armando, Oreste e Rodolfo e due femmine.

Dei quattro maschi solo Rodolfo andò via da Erchie.

Sì, infatti, si arruolò per fare la carriera in Marina.

Fernando, Armando ed Oreste iniziarono presto a fare i pescatori?

Sì, i giovani di Erchie lavoravano nella tonnara che a quei tempi era in funzione da giugno a ottobre.

Ma torniamo a tuo padre. Non hai esperienza diretta della tonnara di Erchie ma avrai senz’altro il ricordo di quello che ti raccontava tuo padre.

Mio figlio Fernando era molto curioso in proposito e faceva molte domande sulla tonnara a nonno Fernando. Questo disegno è stato fatto da Fernando mio figlio in base alle informazioni fornite dal nonno.

Vediamolo insieme. Innanzitutto mi sorprende che la tonnara fosse al largo dello scoglio di ‘miezumare’ , l’isolotto davanti alla spiaggia di Caugo: avevo sempre pensato, infatti, che fosse posizionata di fronte alla spiaggia di Erchie perché questa è l’impressione che dà questa vecchia foto.

Per come era costruita la tonnara la camera della morte si trovava al largo della torre come si vede dalla foto ma la rete che sbarrava la strada ai tonni indirizzandoli verso la camera della morte partiva dallo scoglio di miezumaro e usciva al largo per circa 300 metri. I tonni che migravano lungo costa sia verso levante, sia verso ponente, incontravano l’ostacolo formato da una rete in fibra di cocco con maglie larghe circa un metro e venivano indirizzati verso la camera della morte.

Quante barche e quante persone erano coinvolte nella pesca?

C’era innanzitutto un grosso barcone di 30 metri saldamente ancorato al fondo, senza equipaggio, che reggeva tutto il peso della rete della camera della morte. C’era poi, lo ‘Sciere’, imbarcazione di circa 20 metri, con equipaggio di otto persone che all’occorrenza chiudeva la ‘porta’ della camera della morte alzandola dal fondo tirando otto cime, quattro a prua e quattro a poppa.

Quando veniva alzata la porta della camera della morte? Una volta al giorno?

Veniva alzata ogni mattina. Poi, durante il giorno, c’erano due vedette sulla ‘barca di guardia’ che controllavano continuamente lo specchio d’acqua. Non appena avvistavano i tonni all’interno della rete davano l’allarme e la porta veniva alzata. C’era inoltre un’altra barca di circa 5 metri, chiamata ‘Muciana’, con quattro persone come equipaggio, che gestiva la ‘porta’ mentre lo ‘Sciere’ stringeva sempre più il sacco con i pesci verso il barcone fermo.

Quale era il compito di tuo padre in questo meccanismo?

Il più delle volte mio padre stava sulla ‘barca di guardia’ per l’avvistamento dei pesci ma i compiti erano assegnati di volta in volta in base alle esigenze del momento.

Ad un certo punto la tonnara non è stata più montata perché, credo, non rendeva abbastanza. Tuo padre allora cosa fece?

Con il supporto finanziario di Alberto Accarino che aveva appena acquistato la torre di Erchie diventò capo barca di una lampara per la pesca delle alici.

Puoi descrivere come funzionava questo tipo di pesca?

Innanzitutto era una pesca che si svolgeva nelle ore notturne. C’era una grossa barca a motore con 7/8 persone di equipaggio e due piccole barche a remi, con un solo pescatore, dotate di una potente luce ad acetilene detta lampara. Il lavoro preparatorio molto importante e delicato era quello svolto dai pescatori con la luce. Il loro compito era quello di attrarre le alici sotto le luci e guidarle verso un punto dove poter calare le reti di circuizione. Solo quando il banco di alici era ben compatto sotto le luci veniva dato il via alla calata della rete. Mio padre e suo fratello Oreste svolgevano questo incarico fondamentale. Oreste, in particolare, era molto bravo a valutare la quantità di pesce sotto le luci: se diceva che c’erano due quintali di alici sotto la lampara si poteva essere certi che si sarebbero messe a bordo da 180 a 220 chili di alici.

E il fratello Armando?

Armando dirigeva le operazione sulla barca con le reti.

Com’erano e come funzionavano le reti di circuizione?

Erano utilizzate per racchiudere in un cerchio il banco di alici. La parte superiore della rete era attrezzata con galleggianti, mentre in quella inferiore si trovavano i piombi che tenevano verticale la parete della rete. In questa parte inferiore, a intervalli regolari, si trovavano anche degli anelli di ferro in cui passava un cavo di acciaio che, quando tirato, chiudeva la parte inferiore della rete imprigionando le alici in un sacco. A questo punto la rete veniva lentamente ritirata fino a quando le alici erano concentrate in uno spazio abbastanza piccolo da poter essere recuperate con un grosso cuoppo.

L’equipaggio della lampara erano tutti erchietani?

Sì, anche se mi padre era solito ripetere ‘gli erchietani so fetiente’

Come mai?

Mi ha raccontato due episodi. Il primo, quando, di nascosto, per fare ‘nu rispiette a Bennarde’, buttarono in mare un paio di quintali di alici.

Il secondo?

Mio padre aveva licenziato un pescatore particolarmente scansafatiche dicendogli ‘tu stasera nu viene’. Arrivata sera, al momento di salpare, la brutta sorpresa: non c’era nessun pescatore, tutti gli erchietani avevano solidarizzato con lo sfaticato. Nei giorni seguenti mio padre assunse pescatori di Cetara rimanendone molto soddisfatto, era solito dire: dove gli erchietani fanno 4 menate in una notte, i cetaresi ne fanno 8. Comunque, dopo un po’ di tempo, tutti i pescatori erchietani tornarono alla lampara di mio padre.

Poi successe che a Cetara cominciarono a pescare con le ‘cianciole’, barche molto più grandi con reti più grandi e le piccole lampare di Erchie dovettero soccombere alla concorrenza. Tuo padre ha lavorato sulle cianciole di Cetara?

Solo per qualche anno. Per mio padre la pesca era un arte in cui doveva esprimere il suo intuito e talento quindi non poteva pescare sotto padroni. Prima provò con la sciabica, poi passo alle reti di posa, il tramaglio.

Siamo intorno al 1960 e, a questo punto, entri in scena anche tu come pescatore aiutante di tuo padre. Puoi descrivere come funziona il tramaglio?

La rete si chiama così perché è formata da tre pareti adiacenti, le due esterne a maglie larghe, quella interna a maglie strette. Il pesce che attraversa la parete esterna viene catturato per ammagliamento nella parete interna. Le reti vengono posate al tramonto e ritirate all’alba.

Che pesci pescavate con il tramaglio?

Dipendeva dalla stagione. Per esempio, il periodo da settembre a novembre era la stagione della pesca delle ricciole. Ricordo che, per seguire la crescita delle ricciole, ogni mese aumentavamo le dimensione delle maglie della rete esterna.  Se a settembre avevamo reti con 10 maglie a palmo, a novembre avevamo reti con 6 maglie a palmo. Poi verso la fine di novembre i banchi di ricciole si spostavano al largo e così finiva la stagione delle ricciole.

Dove calavate le reti per le ricciole? Dietro il tommolo?

No. Il posto migliore era davanti la spiaggia della ‘cullata’ alle spalle del porto di Cetara. Qui erano sicuri una ventina di chili di ricciole al giorno. Mio padre si chiedeva ‘ma da dove escono ogni notte tanti pesci? Dalle pietre degli scogli? ’

Scusa l’interruzione, ma l’unica ricciola che io ho preso al traino l’ho presa proprio davanti alla spiaggia della cullata. Un bel pesce di circa 700 grammi. Evidentemente quell’angolo di mare aveva un habitat perfetto per le ricciole. Vai avanti. Hai un ricordo particolare della pesca alle ricciole?

Una volta, sempre ‘rinta a cullata’, facemmo una pesca miracolosa. La rete era talmente piena di pesci che facevamo fatica a tirarla a bordo. Il mare era alquanto mosso, la barca era già piena di ricciole anche se avevamo salpato solo metà della rete, quando mio padre mi chiese ‘hai portato il coltello? ’ L’idea era quella di tagliare la rete e tornare a riva a scaricare per poi recuperare il resto della rete in un secondo momento. Purtroppo, dopo una curva della rete, non c’erano più pesci, il banco era ammagliato su un solo lato e non fu necessario tagliare la rete.

Scusa un attimo, ma se quel tratto di mare era così pescoso perché non veniva conteso dai cetaresi?

I pescatori cetaresi non hanno mai capito veramente quanti pesci pescavamo dietro il loro porto. Una delle doti del buon pescatore è la riservatezza se non proprio la segretezza su cosa e quanto si pesca e che tecnica si usa. Questi sono segreti che ogni pescatore si tiene per sé. In proposito ho un episodio da raccontarti. Avevamo in barca più di un quintale di ricciole tutte sui seicento, settecento grammi e, come facevamo sempre, stavamo tirando a secco la barca dietro Caugo per smagliare le ricciole e portarle a casa attraverso il ‘buco di Caugo’. Nelle vicinanze, in mare, c’era un pescatore di Cetara che vedendoci in difficoltà a tirare a secco la barca così appesantita si offrì di scendere a riva per venirci ad aiutare. ‘Bennà vuo na mane’ gridò alla voce. ‘No cia facimme Tatò’ rispose mio padre per evitare di dover mostrare il ricco bottino. Ma intanto il cetarese continuava a guardare incuriosito senza allontanarsi. Allora mio padre prese un telo di plastica da sotto la prua, lo distese sulla barca e disse ‘iammuncenne’, andiamocene. Lasciammo lì la barca ed il prezioso carico nascosto sotto il telo e attraversammo il buco verso Erchie. Solo quando il pescatore si allontanò verso Cetara tornammo dietro Caugo a recuperare il prezioso carico.

Anch’io da ragazzo, pur stando sulla spiaggia tutta l’estate, non ho mai capito cosa e quanto pescavate. Una sola volta vi ho visto in azione. Fu quando Italo ‘e ron Arture’, ispezionando con lo specchio il fondo marino alla ricerca di polpi, intercettò un banco di ricciole proprio davanti alla spiaggia di Erchie. Italo chiamò tuo padre che in quattro e quattr’otto calò le reti circondando il banco. Quando poco dopo furono salpate le reti ricordo che rimasi impressionato per le centinaia e centinaia di ricciole argentee e vibranti rimaste ammagliate nella rete. Ma come vendevate tutto questo pesce?

C’era un pescivendolo di Vietri, si chiamava Gigino Tabacchero, che veniva a casa nostra sulla spiaggia o direttamente dietro Caugo a comprare il nostro pesce.

Ricordo che nei mesi estivi tu e tuo padre andavate al largo per la pesca dei tonni alla lenza. A che distanza dalla costa si faceva questa pesca?

Circa 12 miglia. La nostra barca faceva 4 miglia all’ora e noi ci mettevamo 3 ore per arrivare nella zona di pesca.

E come facevate a riconoscere il posto dove fermarvi in mare aperto?

Vedevamo le montagne della costa e facevamo triangolazioni con i monti di Agerola e quelli di Tramonti. Ricordo che Positano ci appariva minuscolo in lontananza proprio di fronte a noi.

Ma c’erano altre barche nella zona che facevano la stessa pesca?

Sì, oltre alla barca di zio Armando c’erano una decina di barche a poche centinaia di metri l’una dall’altra. Inizialmente erano i pescatori di Napoli, precisamente di S. Lucia, che marcavano la zona di pesca. Noi rispetto a loro eravamo dei dilettanti sia per esperienza e che per le attrezzature. Ricordo che solo quando capimmo come erano fatte le loro lenze, cioè con il braccio finale in acciaio e un amo speciale, cominciammo a pescare bene anche noi.

Come si faceva questo tipo di pesca?

Fermato il motore ci si lasciava andare alla corrente lanciando in mare di tanto in tanto qualche sarda o alice. Ricordo che quasi sempre il mare era limpido e calmo e quando si intravedeva l’ombra scura di un tonno sotto la barca l’eccitazione montava alle stelle nell’attesa che abboccasse all’amo.

E quando abboccava cominciava la battaglia tra l’uomo e il pesce. Non avevate le canne moderne che stancano il pesce, come facevate voi a fiaccare il tonno e tirarlo a bordo?

Quando il pesce era pieno di energia e tirava con forza si lasciava andare la lenza, non appena dava segni di stanchezza si cercava di recuperarla con la forza delle braccia. In base alla dimensione del tonno questo lasciar andare e recuperare poteva durare alcune ore.

Ma quanto era lunga una lenza?

Duecento metri. Molto spesso però, con pesci grossi, quando stava per terminare una lenza la si legava subito ad un’altra in modo da avere altri 200 metri di margine.

Di che dimensioni erano i tonni?

In media intorno al quintale ma una volta abbiamo pescato un vero gigante del mare. Quella volta ricordo che il mare era calmo e trasparente e mio padre di tanto in tanto guardava in acqua. Ad un certo punto vedo mio padre che si guarda le braccia tese in avanti con faccia preoccupata. ‘Papà’ dissi ‘ ti senti male? ’. ‘Cu sti bracce accia piglia stu pesce? ’ rispose indicandomi un’ombra gigantesca che girava lentamente a pochi metri di profondità proprio sotto la barca. Un tonno enorme aveva trovato le alici che avevamo buttato in mare ma ancora non aveva abboccato. Immobili, tesi come corde di violino, rimanemmo in silenzio ad aspettare che la lenza si tendesse. Non dovemmo aspettare troppo: il filo cominciò a srotolarsi a velocità pazzesca, in pochi secondi cento metri di lenza erano andati via in mare. Legare subito la seconda lenza era la cosa più ovvia da fare, infatti, finita la prima, la seconda lenza cominciò a srotolarsi con la stessa velocità. Solo quando la seconda lenza era svolta a metà il tonno cominciò a rallentare per poi fermarsi. Mio padre fece di tutto per recuperare un po’ di lenza tirando con tutte le sue forze ma non ci fu niente da fare, anzi, dopo un una breve pausa, il tonno riprese la sua corsa. Ci affrettammo a legare la terza lenza e, solo quando ormai in mare c’erano oltre 500 metri di lenza, il tonno cominciò a dare segni di stanchezza.

Sembra di sentire la storia de “Il vecchio e il mare” di Hemingway. Alla fine il vecchio pescatore riesce a catturare il grosso marlin ma, siccome è troppo grosso per metterlo a bordo, lo lega alla fiancata della barca alla mercé dei morsi degli squali. Nel racconto il pescatore approda alla riva con solo lo scheletro del marlin attaccato alla barca. Come è finita invece per voi? Siete riusciti a mettere il tonno a bordo?

Sì, ma ci sono volute più di tre ore di sforzi immani e l’aiuto di zio Armando, che vista la scena, si era avvicinato con la sua barca per aiutare. Il tonno, visto da vicino sulla barca, era veramente enorme, alla pesa segnò 2 quintali e mezzo.

Che emozioni, che ricordi! Hai ancora qualche episodio di pesca al tonno da raccontare?

Sì. Anche in questo caso eravamo a 12 miglia dalla costa, alla deriva nel silenzio più assoluto, con mare calmo e il sole che batteva implacabile senza ombra di vento. Intorno a noi una decine di barche, a buona distanza, erano nelle nostre stesse condizioni: tutti in attesa che qualche tonno mordesse l’esca. Ad un certo punto mio padre sente un rumore in lontananza come il fruscio del vento sulla superfice dell’acqua. Mi dice ‘ Pascà, saglie compa ‘o motore e guarda se quella è una macchia di vento pecchè se si mette o scirocco dobbiamo subito tornare a terra’. Stando in barca, in effetti, si vedeva una striscia di mare increspato come per il vento ma, appena salito in piedi sul motore, la scena che vidi era impressionante. A qualche miglio di distanza, un fronte di mare largo come da Erchie a Vietri era tutto un ribollire di pesci: tonni di tutte le dimensioni, altri predatori, delfini e addirittura un grosso cetaceo erano tutti radunati sulla superfice di quel tratto di mare evidentemente a banchettare con alici.

Che avete fatto? Lasciami indovinare, avete messo in moto e vi siete fiondati a tutta velocità verso i pesci.

Sì bravo. Si vede che non hai capito la mentalità del bravo pescatore. Se avessimo fatto come dici tu tutte le altre barche se ne sarebbero accorto e ci avrebbero seguito. Noi invece, per non dare nell’occhio, abbiamo messo il motore al minimo e lentamente ci siamo allontanati dalle altre barche. Solo quando eravamo ormai vicini al banco abbiamo accelerato fino a quando ci siamo trovati circondati dai pesci. Le lenze si sono tese quasi subito, ben 7 tonni hanno abboccato in rapida sequenza. Purtroppo, sarà stata l’eccitazione, la fretta, fatto è che non siamo riusciti a portarne a bordo neanche uno. In compenso il giorno dopo nello stesso punto mettemmo a bordo 5 tonni di buone dimensioni.

Tonnara, tramagli, tonno alla lenza …  ma tuo padre era un pescatore completo che trovava il tempo anche per la pesca a traino di palamiti e tonnetti, delle aguglie, dei polpi e delle seppie senza tralasciare di stendere i filaccioli.

Sì vero, è così. Ricordo che un giorno prese ben 5 cernie con i filaccioli.

Come pescatore non ho ricordi particolari di tuo padre ma dal punto di vista umano me lo ricordo come una persona dolce e gentile sempre con un sereno sorriso. Ma veniamo a te. Immagino che le tue esperienze di pesca sono state molto precoci. Quali sono i tuoi primo ricordi di pesca?

Avevo forse cinque anni quando, sotto la canale, ho preso il primo polpo. Poi ricordo di aver preso un polpo di ben 5 chili a Suvarano. Avrò avuto forse otto anni.

Avevi più o meno la stessa età quando andavamo insieme nelle pozze d’acqua sopra gli scogli della pietra di Francescone a insidiare i piccoli cefali con una ridicola rete in miniatura. Ti ricordi?

Sì mi ricordo. Cercavo di replicare in piccolo la pesca delle alici.

Com’è stata la tua infanzia a Erchie?

Crescere a Erchie è stato per me un privilegio. In totale libertà, in spazi aperti in una natura meravigliosa, su e giù a piedi nudi sugli scogli per cinque mesi all’anno, il mistero del mare profondo sempre davanti ai nostri occhi, i ragazzi sempre insieme come in una grande famiglia … ho vissuto un’infanzia felice. Ricordi le partite di pallone sulla spiaggia che duravano ore e ore? L’adolescenza forse è stata un po’ più faticosa. D’inverno la scuola, in estate a pescare con sveglia alle tre del mattino e a letto alle 9 di sera quando tutti i miei amici erano in giro a divertirsi. Nonostante tutto ho avuto il tempo per qualche flirt con le villeggianti.

Poi sei partito militare.

Sì ho fatto due anni di servizio militare in marina imbarcato sulla nave “Metauro” che portava il rifornimento di acqua a tutti i fari della Puglia. Finito il servizio militare sono stato imbarcato per 2 o 3 anni su una nave dell’Italsider che faceva la spola da Bagnoli a Venezia. Mentre ero a Bagnoli ho incontrato Maria, mia moglie.

Come vi siete incontrati?

Una sera, mentre la nave era in porto a Bagnoli, salgo su un pulman per andare al Luna Park e qui noto subito tre ragazze vivaci ed allegre che stanno insieme. Per una delle tre ho il classico colpo di fulmine e penso subito “questa è per me”. Mi avvicino, faccio conoscenza e prima di lasciarci riesco a sapere che è di San Giovanni a Teduccio, ma soprattutto riesco a fissare un appuntamento sulla Riviera di Chiaia per il giorno dopo. Va a finire che ci siamo sposiamo.

Intanto trovasti un lavoro stabile a Napoli. Come è andata?

A Erchie mi capitava di accompagnare spesso in barca un professore universitario di fisica e la moglie preside dell’IPSIA di Capodimonte. In una di queste occasioni la signora mi chiese ‘ti piacerebbe venire a lavorare come custode della mia scuola”.  Risposi di sì e sono rimasto così a Capodimonte per 37 anni.

Dove hai avuto Fernando e Teresa. Andando in pensione sei tornato alla tua vecchia passione per la pesca e sei diventato il pensionato pescatore di polpi di Erchie in concorrenza con Pierino.

No, Pierino non è il mio vero concorrente. Ci sono due pescatori di Cetara che sono invece bravissimi pescatori di polpi e temibili concorrenti perché peschiamo nelle stesse zone.

Per finire Pasquale mi ricordi i tuoi cugini dal lato paterno?

Ho 10 cugini dal lato di mio padre. Ci sono innanzitutto i 4 cugini figli di Armando: Angelo, Pasquale, Alfonsina e Carolina; poi tre cugini figli di Oreste: Luigi, Vincenzo e Adelina; e infine i tre cugini figli di Rodolfo: Luciano, Fulvia e Vittoria.

Grazie Pasquale. E’ stata un’intervista interessante.