Franco Di Bianco

Buongiorno Franco. Come sai, sto facendo una ricerca sulla storia delle famiglie di Erchie e dopo Amabile e De Bonis, tocca ora alla famiglia Di Bianco. Tua sorella Lia ed altri compaesani dicono che tu hai un’ottima memoria e che sei la persona più qualificata per raccontare i fatti della famiglia Di Bianco.

Cominciamo allora. Da dove proviene la famiglia Di Bianco secondo te?

Un mio parente, anni fa, ha fatto una ricerca e sembra che i nostri ascendenti, anticamente, fossero residenti della cittadina di Bianco in Calabria. Il cognome ‘Di Bianco’ voleva quindi dire “quelli che vengono da Bianco in Calabria”.

Può essere … ma questa ipotesi non mi convince perché la preposizione ‘Di’ non è una forma usata nel dialetto arcaico. Gli ascendenti più prossimi erano conosciuti con il suffisso “ ’e laure “, come Luigi ‘e Laure, Andrea ‘e Laure, Peppe ‘e Laure. In italiano sarebbero Luigi, Andrea e Peppe di Lauro. Sai da dove proviene questa parola? E’ un patronimico? Cioè Luigi, Andrea e Peppe avevano un ascendente comune di nome Lauro?

Non credo. Secondo me ‘Laure’ indica una località nei pressi del cimitero di Maiori dove il mio bisnonno Luigi aveva una proprietà.

Quindi i Di Bianco provengono da Maiori?

Sì, almeno quelli di cui abbiamo un ricordo.

Chi sarebbe, secondo te, il capostipite della famiglia?

Senza fare ricerche negli archivi comunali o della Chiesa e basandosi solo sui miei ricordi posso risalire al mio bisnonno Luigi Di Bianco, residente a Maiori con proprietà terriere nelle vicinanze del cimitero. Ebbe sette figli: Andrea, Giuseppe, Vincenzo, Rosa, Pasquale, Agata e Carmine.

Non tutti i figli rimasero a Maiori, credo.

Infatti, è così. Agata e Pasquale rimasero a Maiori ma le vicende della vita portarono Andrea e Giuseppe a Erchie, Vincenzo e Rosa a Cetara e Carmine a Fiumicino.

Prima di parlare di nonno Andrea, puoi dire qualcosa dei pro-zii?

Zia Agata si era sposata con Luigi Arpino, detto ‘o pilaianche’ per via di un ciuffo di capelli bianchi, intraprendente armatore di ‘cianciole’ e barche da pesca di Maiori. Carmine si era trasferito a Fiumicino dove aveva messo su un cantiere di barche da diporto. In particolare il figlio Luigi era diventato un apprezzato ‘designer’ di yacht e panfili.  Vincenzo, pur abitando a Cetara, coltivava i limoneti di ‘Fontanella’ a metà strada tra Erchie e Cetara. Ricordo che zi Vicienze era un apprezzato ‘aggiusta ossa’ nel senso che riusciva, con le giuste manipolazioni, a risolvere slogature e infiammazioni articolari.

Una volta, ricordo, sono stato anch’io curato da zi Vicienze. Da ragazzino ero sulla prua di una barchetta e per evitare lo scontro con un’altra barca, misi la mano in mezzo e mi slogai il polso. Dolore fortissimo, mio padre mi portò subito ‘ncoppe funtenelle, e zi Vicienze, in quattro e quattr’otto, rimise il polso a posto. Cosa, secondo te, hanno in comune i nostri comuni ascendenti?

Forse il carattere, di poche parole fino a sembrare scorbutici ma concreti e decisi nel fare, leali nei rapporti umani anche se a volte irascibili, grandi lavoratori, bravissimi contadini ma con una vena estrosa ed innovativa anche nell’agricoltura.

Possiamo dire che le origini della famiglia Di Bianco sono più contadine che marinare?

Forse sì, anche se c’è sempre stato nei Di Bianco il fascino del mare e la passione, se non proprio il mestiere, della pesca.

Come nel caso di tuo padre Antonio. Ma veniamo a nonno Andrea ‘e laure.

In gioventù Andrea tentò la fortuna negli Stati Uniti. Emigrò legalmente a New York dove viveva già qualche lontano parente che funse da garante del giovane nei confronti delle autorità dell’immigrazione americana. Andrea arrivò a New York, cerco di inserirsi e di abituarsi alla vita newyorchese ma non durò a lungo e tornò in Italia.

In tempo per la prima guerra mondiale?

Non ancora … ma in tempo per sposarsi. Rosalia Amabile, rimasta orfana in giovane età, era stata adottata dallo zio Donato che aveva un panificio a Sala Consilina nel Cilento. Qui Rosalia, prima di venire a Erchie per sposare Andrea, aveva lavorato nel negozio di pane ed alimentari.

Come fecero ad incontrarsi Andrea a Maiori e Rosalia nel Cilento?

Credo tramite conoscenti comuni. Ricordo che nonna Rosalia raccontava che, nell’attesa del matrimonio, non vedeva l’ora di venire ad Erchie e vedere il mare. Comunque, una volta sposati, Andrea e Rosalia si sistemarono a Erchie prendendo in affitto i terreni agricoli del ‘Chiano’ dietro ‘il luvito’, e del ‘Telegrafo’ sopra ‘muntichiane’. Erano nullatenenti e vivevano dei prodotti della terra e di una mucca che tenevano in una piccala stalla nel ‘chiano’.

Intanto era arrivata la prima guerra mondiale, quella del 15-18 …

Si ma subito prima della guerra erano nati Luigi ed Antonio. Nonno Andrea ha poi combattuto nella prima guerra mondiale prima sulla linea dell’Isonzo e poi su quelle del Grappa e del Piave.

Sì giusto, conservo ancora le medaglie al valore militare e gli attestati conferiti ad Andrea durante la guerra. Intanto a Erchie Rosalia doveva crescere due bimbi piccoli e trovare i mezzi di sostentamento per sopravvivere.

Rosalia non era una donna comune. Come tutti a quei tempi, non aveva studiato granché, ma era un vulcano di energia ed iniziative.  Dinamica, intraprendente, sicura di sé, al giorno d’oggi sarebbe una imprenditrice di successo ma anche ai suoi tempi, da nullatenente, con il lavoro, il risparmio e l’intelligenza, riuscì a costruire un piccolo patrimonio comprando terreni e costruendo case. Come sai, alla fine degli anni 70 possedeva ben nove “quartini”, piccole unità immobiliari, che dava in affitto ai villeggianti.

Possiamo dire che Rosalia era una imprenditrice turistica?

Senz’altro. Costruiva una piccola unità immobiliare, un “quartino”, come si diceva una volta, lo dava in affitto ai turisti e, in pochi anni, aveva i soldi per investire in un altro “quartino”. Con questo sistema in qualche decennio ha cambiato il paesaggio del costone roccioso sopra la Chiesa con nuovi fabbricati aggrappati alle rocce.

Ma c’era turismo a Erchie prima della seconda guerra mondiale?

Non era certo un turismo di massa. Venivano a Erchie artisti, attori e personaggi eclettici che si innamoravano della bellezza dei luoghi e della semplicità della gente. Per esempio, era ospite fisso di Rosalia l’ingegnere Franco Santamaria, nobile di origine spagnola, proprietario di miniere di zolfo in Sicilia, che viveva da single a Napoli in un palazzo nobiliare. Non aveva necessità di lavorare e abitava per lunghi periodi a Erchie. Quando veniva da Rosalia dava fondo al suo yacht nella baia di Erchie e affittava due “quartini”: uno per sé e uno per i suoi quattro cani boxer e relativo custode. Per molti anni anche Edoardo De Filippo è stato ospite delle “case vacanze” da Rosalia. La nonna mi ha raccontato che Eduardo una volta le chiese un paio di pantaloni logori e strappati di nonno Andrea per indossarli lui stesso in una commedia.

Sembra che facesse tutto Rosalia. E Andrea?

Andrea, con l’apertura della Cava dell’ILVA, era stato assunto come minatore-rocciatore. In pratica, si arrampicava con corde e chiodi sul costone roccioso per preparare i fornelli e caricarli con la polvere da sparo. Due volte al giorno le mine venivano fatte esplodere e si ricominciava con altri fornelli. Per circa 50 anni Andrea ha lavorato in questo modo sulle rocce della cava.

C’è stato un breve intervallo, credo.

Sì è così. Andrea fu richiamato alle armi 1935 e dovette lasciare la famiglia per andare a combattere in Africa nella guerra di Etiopia. Nel 1936 era comunque di nuovo a Erchie a fare il rocciatore minatore.

Torniamo alla famiglia di Andrea. Quanti figli hanno avuto Andrea e Rosalia?

Hanno avuto nove figli ma, per malattie ed incidenti in giovane età, ne sono sopravvissuti solo quattro: Luigi, Antonio, Francesco e Carmine. La triste storia che veniva sempre raccontata in famiglia era la caduta mortale della piccola Maria da un albero di fico quando aveva 7 anni.

Prima di parlare di tuo padre, diciamo qualcosa degli zii?

Luigi, il primogenito, ha fatto il fanalista, prima in Sardegna, poi a Civitavecchia, infine ad Amalfi. Carmine, sposato con Ivonne, una bella ragazza di Lavarone sull’altopiano di Asiago, ha fatto la carriera militare da Sottufficiale dell’esercito a Trento. Francesco, zi Ciccio, ha fatto per molti anni il “navigante” imbarcato su grosse navi mercantili che facevano il giro del mondo. Si è poi comprato i terreni della “turina” e ha fatto l’agricoltore per il resto della vita. Di una cosa zi Ciccio era particolarmente fiero: di essere riuscito a comprare i terreni del “chiano” dove la famiglia Di Bianco era vissuta, in affitto, nei tempi grami e difficili.

Veniamo a tuo padre.

Antonio da ragazzo, come tutti i fratelli, ha lavorato nei terreni del “chiano” e del “telegrafo”.

Scusa se ti interrompo ma c’è un episodio accaduto a tuo padre ragazzo che vale la pena raccontare. La vicenda veniva spesso raccontata dai miei genitori. A quei tempi, tra i ragazzi di Erchie, era di moda prendere uccellini nei nidi per allevarli in gabbia a casa. Per le sue virtù canterine, tra gli uccelli più prestigiosi da allevare c’era il mitico “merlo pretaiolo”. Ora tuo padre aveva notato un nido di “merlo pretaiolo” in alto, in uno dei pilastri del “ponte della mola”. Quando ritenne che era ora di prendere i piccioni, si arrampicò su un palo per raggiungere il buco nel muro dove c’era il nido. Purtroppo, una volta inserita la mano nel buco, non fu più capace di estrarla. Immagina la situazione, il piccolo Antonio in equilibrio precario su una pertica con la mano incastrata nel muro! Dovettero intervenire d’urgenza gli operai del limoneto Liguori che misero in salvo lo sventurato utilizzando una scala. Scusa l’interruzione e veniamo a noi.

Antonio a 19 anni viene chiamato a fare il servizio di leva in marina ma proprio quando sta per terminare il servizio militare e tornare a casa scoppia la seconda guerra mondiale. Per ben sette anni di seguito mio padre è stato quindi in marina, prima imbarcato sull’incrociatore “Duca degli Abbruzzi” e poi a terra in un centro logistico della marina a Tobruk, in Libia.

Finita la guerra?

Finita la guerra, Antonio torna a Erchie e va a lavorare nei limoni di don Angelo ma, allo stesso tempo, compra una lampara, grossa barca per la pesca delle alici, da Luigi ‘o pilianche di Maiori. Nei mesi invernali, la lampara e le reti da pesca venivano ricoverate nel “magazzeno” delle case Montesanto sulla spiaggia. Purtroppo, una certa sera la lampara prese fuoco. Ninuccio e Rafele, ancora ragazzini, cercavano di capire con un fiammifero se c’era rimasto un po’ di benzina in una lattina lasciata a bordo. La lattina era piena e la rete prese fuoco. Tra i soccorritori accorsi in massa dal paese per spegnere l’incendio c’era pure Vicienzo che rimase ustionato in modo serio.

Fine dell’esperienza di pescatore di tuo padre?

No, assolutamente. Dopo un po’ Antonio comprò un gozzo a motore e si dedicò alla pesca sotto costa. Ricordo che con Giovanni ‘e ron Arturo, in estate andava al largo di Capo d’Orso per pescare il tonno alla lenza. Alternava poi la pesca con le reti di posa con la pesca al traino di palamiti e tonnetti, con la pesca dei polpi e delle aguglie. Era un esperto di pesca con i ‘filaccioli’. Dagli scogli della torre stendeva in mare un robusto filo di corda che terminava con il filo di nylon ed un amo con esca viva, in genere un’aguglia appena pescata. Catturava grossi dentici, cernie, spigole.

Personalmente ho il ricordo di tuo padre che, nel giorno in cui nacque tua sorella Lia, tornò in spiaggia con due cernie gigantesche. Intanto tuo padre si era sposato con Ada Ruocco ed aveva avuto 4 figli: Francesco, Lia, Carmine e Teresa. Allo stesso tempo si inventa imprenditore dando vita al Lido Sirena.

Prima di prender la concessione balneare del Lido Sirena, mio padre aveva lavorato per tre anni al Lido Edelvina della famiglia De Bonis. Visto che c’era guadagno nelle attività balneari, mio padre si affrettò a chiedere la concessione dell’ultimo tratto di spiaggia ancora libero. All’inizio montava solo 10 cabine e dava in affitto piccole barche, le iole, ai villeggianti. Poi si è ingrandito sempre di più e dopo il ’90, ha investito anche nell’attività di ristorazione che ancora oggi, insieme alla gestione del Lido, viene portata avanti da mio figlio Pietro.

Prima di chiudere puoi dire qualcosa dei tuoi cugini?

Dal lato di mio padre ho 10 cugini. Ci sono figli di Luigi avuti con la prima moglie: Lia, sposata ad Amalfi, vive a Salerno, Andrea, che abbiamo sempre chiamato Adriano, vive a Civitavecchia, Giuseppe, Pino, anch’egli residente con famiglia a Civitavecchia. Ci sono poi Vincenza e Maria le figlie di Luigi avute con la seconda moglie, Zi Lilina. I figli di Zi Ciccio e zia Argentina sono Luigi, Maria che vive a Maiori e Isa che vive a Milano. I cugini da parte di zio Carmine e zia Ivonne sono Antonio Morris e Romina e vivono entrambi a Trento.