Non appena sbucava dalla punta del Tommolo, la motonave Jason, ‘o vapore, come veniva chiamato, suonava tre suoni prolungati di sirena per far sapere a tutti “sono arrivato … jamme belle … venite a caricare”. Buttata l’ancora e tesa la cima verso la boa, la motonave veniva ormeggiata parallelamente agli scogli, sotto la tramoggia, agendo sulle cime di prua e di poppa date di volta alle bitte sugli scogli.
Intanto, udito i suoni profondi della sirena, sopra la Turina, ma anche a Fontanelle e perfino sopra la Cullata verso Cetara, i contadini sospendevano i lavori agricoli e si affrettavano verso il Tommolo per guadagnarsi la giornata caricando il vapore. Chi non arrivava in tempo correva il rischio di trovare i posti di carrellisti già tutti assegnati e di doversene quindi tornare a lavorare nei terreni. Il vapore era caricato con le rocce strappate dalla montagna della cava sopra gli scogli del Tommolo. Tutto si svolgeva di corsa. Caricato il grosso carrello ferroviario sotto la tramoggia di carico, due carrellisti lo spingevano a mano lungo i binari per un centinaio di metri fino alla tramoggia di scarico. Qui il carrello veniva ribaltato e le rocce erano scaricate, attraverso la tramoggia, direttamente nella stiva della nave. Una decina di carrelli correvano contemporaneamente sulle rotaie dei binari quindi non era permesso il benché minimo errore o rallentamento.
Per riempire la stiva la corsa dei carrelli continuava ininterrottamente per cinque, sei ore. Il vapore allora toglieva gli ormeggi e, salpata l’ancora, partiva per Bagnoli dove le rocce venivano usate negli altiforni dell’Ilva per la produzione di ghisa.