Armando Giordano

Le funzioni religiose erano il centro della vita sociale della piccola comunità erchietana. Oltre che dare risposta alle esigenze spirituali, andare in Chiesa era come una festa: ci si incontrava con tutti i paesani, si scambiavano le ultime notizie e si era tutti contenti anche per il buon pranzo domenicale che aspettava a casa. Armando, suonando con trasporto e maestria l’organo per la Messa cantata domenicale era l’animatore di questa atmosfera di gioia e serenità. Armando era benvoluto da tutti i paesani: la sua musica alleggeriva l’animo e, dopo la Messa, tutti tornavano a casa più buoni e sereni.

In questa intervista caro Pasqualino cercheremo di rinverdire il ricordo di ‘Mandino’, tuo padre, ma anche di rivivere le atmosfere semplici ma vere e profonde dei tempi passati dei nostri avi. Cominciamo dai tuoi nonni. Che ricordi hai di loro?

Ho vaghi ricordi di mio nonno Pasquale perché mori di tumore quando io ero ancora ragazzo. Ho invece un vivo ricordo di mia nonna Carmela Alfonsa Anastasio, detta Funsetella.

Avrai senz’altro sentito raccontare in famiglia qualcosa della vita di tuo nonno.

Certo. Si diceva che il padre, il mio bisnonno, morì giovane e Pasquale da ragazzo si prese sulle spalle la responsabilità di mantenere la famiglia. Da giovane andò a cercar fortuna in America e precisamente a Brooklyn, New York. Qui, insieme ad un socio, riuscì a mettere su un commercio di prodotti alimentari italiani come, per esempio, l’olio di oliva. Le cose andavano bene e mio nonno, in più di un’occasione, poté tornare a casa dalla famiglia. Durante una di queste permanenze in Italia scoppiò la prima guerra mondiale e mio nonno fu costretto a rimanere a Erchie e a liquidare l’attività a New York.

Senz’altro hai qualche ricordo personale di tuo nonno.

Avrò avuto 4 anni quando mio nonno mi insegnò a nuotare con un metodo drastico e veloce. Semplicemente mi buttò in mare dalla barca al largo. Mi aveva messo però una cintura con due o tre sugheri ben stretta alla vita e mi controllava con una cima che lui teneva in mano sulla barca.

Questa deve essere stata una tecnica comune di insegnare a nuotare a Erchie perché è stata usata anche con me da mio zio Carmine. Qualche altro ricordo di tuo nonno?

Aveva un certo talento come prestigiatore. Ricordo che organizzava in casa dei veri e propri spettacoli di magia. Di tanto in tanto, si riunivano in casa decine di paesani che, seduti comodi, rimanevano stupefatti e incantati dai suoi giochi di illusionismo. Personalmente ero particolarmente impressionato da un modello di scheletro umano che mio nonno faceva muovere in modo misterioso.

Tua nonna Alfonsa o Funsetella era originaria di Erchie?

No proveniva dal Cilento dove era imparentata con una famiglia nobile locale, i Pignatelli.

Sembra che a quei tempi i maschi di Erchie andassero a cercar moglie in Cilento. E’ il caso, per esempio, anche di mio nonno Andrea che sposò Rosalia, una cilentana. Quanti figli ebbero i tuoi nonni Pasquale e Funsetella?

Ebbero 4 maschi e 3 femmine. Il primo figlio fu Rodolfo, poi di seguito Fernando, Armando, Oreste, Carolina, Adelina e Angelina. Le due ultime figlie morirono purtroppo giovani per malattia.

I figli maschi rimasero tutti a Erchie?

Il primo, Rodolfo, andò via da Erchie per fare carriera in marina. Ricordo però che ad un certo punto si stabilì a Cesenatico dove dirigeva un centro nautico. Veniva comunque un paio di volte all’anno a Erchie e portava sempre qualche regalo a noi nipoti. Gli piaceva molto andare in barca a pescare con la lenza ed io molto spesso lo accompagnavo. Una volta, mentre pescavamo dietro Cauco, disse una frase che, chissà perché, mi è rimasta impressa. Disse: “vulesse piglià o stesse cazzillo ‘e re ca perdiette vinte anne fa”.

Evidentemente aver perso quel “cazzillo ‘e re” era stato per lui un vero trauma infantile. Ma veniamo agli altri fratelli. Fernando, tuo padre Armando e Oreste rimasero tutti a Erchie.

Sì è così. Tutti e tre si dedicarono alla pesca partendo dalla pesca del tonno con la tonnara che veniva montata a Erchie da giugno a ottobre.

Di Fernando ho già parlato con tuo cugino, parliamo adesso di tuo padre Armando. Sua moglie Maria era di Erchie?

Sì, faceva Lucibello di cognome ed il papà Giovanni lavorava nei limoneti del ciglio. Mia madre raccontava che Giovanni era un burlone che si divertiva a prendere in giro i paesani. Sai che i terrazzamenti del ciglio sono sotto il livello della strada statale che a quei tempi non era trafficata da macchine ma era molto frequentata dagli erchietani per andare e tornare da Cetara a piedi. Giovanni, nascosto sotto il pergolato di limoni, si divertiva ad imitare il verso degli uccelli. In questo era molto bravo e riusciva ad imitare perfettamente parecchi tipi di uccelli. Le persone che transitavano sulla strada rimanevano impressionati dalla varietà di uccelli che cinguettavano tra i limoni del ciglio al punto che qualcuno esclamava “ma quante cazz raucielle ce stanne rinto a ciglie!”

A quei tempi ci si divertiva con poco. Ma torniamo a tuo padre.

Mio padre era un personaggio eclettico, ingegnoso e pieno di idee. Suonava nella banda di Vietri oltre che in Chiesa con l’organo, era il barbiere del paese ed aveva messo su un laboratorio per fare scarpe. Tutto questo oltre a fare il pescatore.

Che tipo di scarpe produceva tuo padre?

Principalmente faceva le mitiche ‘spardegne’ che potevano essere di diverso tipo, per giorni di lavoro o per i giorni di festa. Faceva anche sandali e scarpe in flanella. Il laboratorio, con la macchina per cucire Singer ed il tavolo di lavoro, occupava un angolo del soggiorno della casa dove abitavamo.

Ho come un flash visivo della tua casa e del laboratorio perché da bambino una volta venni portato da mia madre a prendere le misure per ordinare un paio di spardegne. Mi ricordo perfettamente tua nonna Funzetelle seduta alla macchina Singer che mi chiese: “che belle piccirille, quant’anne tiene?”. Risposi mostrando il palmo della mano con le cinque dita distese. Evidentemente già da bambino ero parco di parole. Ma veniamo a noi. Come era organizzato il lavoro?

Il laboratorio era attrezzato con vari modelli per tagliare suole e tomaie delle varie misure. Ricordo anche che c’erano molti stampi di ferro a forma di piede intorno ai quali si montavano le scarpe. Nonna Funzetelle era alla macchina Singer a cucire le tomaie fatte di flanella o di robusta tela. Mio padre invece tagliava le suole con un grosso coltello e, usando gli stampi, le montava alle solette e tomaie con piccoli chiodi chiamati “semenzelle”. Le suole delle spardegne erano particolarmente robuste e resistenti perché erano fatte di gomma ricavata da copertoni usati di auto.

Come faceva Armando a procurarsi questi copertoni d’auto?

Comprava i copertoni usati a Napoli e li portava a Erchie con il pullman della SITA.

A proposito dei pneumatici d’auto usati ho un ricordo personale molto vivo. Per noi ragazzi era un divertimento aiutare Armando a scendere i pneumatici dalla fermata dell’autobus fino a casa sua sulla spiaggia facendoli rotolare lungo via provinciale e poi giù lungo le scale della chiesa. Quel giorno era particolarmente caldo e soleggiato e ricordo che io, arrivato con la mia gomma rotolante davanti il portone di casa Amabile, persi i sensi e svenni per terra. Mi risvegliai dopo qualche minuto in casa di Rosetta … evidentemente avevo avuto un collasso dovuto al sole e al caldo. Ma veniamo a noi. Come venivano commercializzate le spardegne?

Tutti gli erchietani usavano le spardegne di mio padre. Ma gli erchietani, allora come adesso, erano pochi e quindi il vero commercio era con i cetaresi. Ogni domenica pomeriggio Funsetella, accompagnata prima da mio fratello Angelo e poi da me, faceva il giro di Cetara con un borsone pieno di scarpe. Facevamo tutto il corso di Cetara, dalla marina fino al casale, e mia nonna si fermava a salutare e chiacchierare con le comari ad ogni angolo. Era una brava venditrice ma le chiacchiere di mia nonna mi spazientivano e non vedevo l’ora di tornare a Erchie.

Ricordo che Funsetella era molto popolare e benvoluta anche a Erchie. Parliamo adesso di tuo padre come pescatore.

Come il fratello Fernando, Armando cambiava tipo di pesca secondo la stagione. In estate andava con il gozzo a motore a pescare i tonni con la lenza al largo fuori Positano. In questa foto è sulla spiaggia di Erchie con un tonno di 70-80 chili.

Tu eri ancora troppo piccolo per andare a pescare con lui?

Sì, in effetti, nei primi tempi era mio fratello Angelo che usciva in barca con lui per la pesca dei tonni. Poi, negli anni, quando Angelo andò via da Erchie, sono diventato io il ‘secondo’ in barca. Ricordo che il primo pesce che ho arpionato, ero sulla barca di zio Fernando, è stato un tonno di circa un quintale senza un occhio.

Forse era stato colpito all’occhio, anni prima, da un arpione manovrato con poca destrezza. Quando si faceva la pesca al tonno?

Nei mesi estivi. Da settembre a novembre invece si calava in mare ‘o uollere, la rete per catturare ricciole.

Eravate in concorrenza allora con tuo zio Fernando?

Con zio Fernando avevamo un accordo. Siccome la zona più pescosa per le ricciole era davanti la spiaggia della Cullata, per evitare di farci concorrenza, avevamo fatto dei turni per calare le reti lì. Quando non toccava a noi pescare alla Cullata si calavano le reti a Suvarano o davanti alla spiaggia di Erchie o ‘fore o raitano’.

Hai ricordi particolari della pesca alle ricciole?

Una volta zio Fernando stava tirando su le reti alle prime luci dell’alba quando notò dei bagliori sul fondale. Gli sembrò un fatto soprannaturale tanto che, spaventato, abbandonò le reti e tornò a Erchie a raccontare il fatto. A quei tempi ancora non si sapeva dell’esistenza delle torce per subacquei, altrimenti Fernando avrebbe capito che gli stavano rubando i pesci direttamente dalla rete.

Questo è stato un caso unico o avete sperimentato altre volte dei furti dalla rete?

Alla Cullata dovevamo stare molto attenti in proposito perché c’erano i figli della Naistina che ci provavano spesso. Dovevamo anche guardarci dai delfini. I nostri amici ci aspettavano al largo quando uscivamo all’alba dalla spiaggia di Erchie non perché si fossero affezionati a noi ma per seguirci fino alle reti e rubare i pesci mentre le tiravamo su facendo grossi buchi nelle reti.

In questa foto, tuo padre Armando e tuo fratello Angelo sorreggono una grossa rana pescatrice. C’era sempre l’attesa e la speranza di una bella preda quando si tiravano su le reti.

In effetti è così. Il fascino della pesca è proprio l’imprevedibilità. Puoi prendere poco o niente per giorni poi all’improvviso ti riempi la barca di pesci.

Un tipo di pesca molto in voga a Erchie fino a qualche anno fa era la pesca dei tonnetti. Poi questa pesca è stata vietata. Come mai?

Purtroppo il tonno rosso mediterraneo è una specie seriamente minacciata dalla pesca intensiva. Dagli anni settanta del secolo scorso in poi si è assistito ad un calo costante della specie tanto che l’Unione Europea ha regolato i prelievi con un sistema di quote e di blocchi della pesca.

Ma i tonnetti che pescavate era novellame di tonno rosso?

Sì, erano tonni rossi nati nel golfo di Salerno all’inizio dell’estate. Questi pesci affrontano lunghissime migrazioni a gran velocità per venire a riprodursi nelle acque tiepide e poco profonde della parte orientale del golfo di Salerno. I piccoli nati all’inzio dell’estate già nel mese di luglio raggiungono il peso di 3 etti e, approfittando dell’abbondanza di alici, a settembre raggiungono quasi il chilo. Rimangono a nutrirsi di alici nel golfo fino a novembre, quando si pescano individui di ben oltre 2 chili, poi migrano al largo raggiungendo anche l’Atlantico. In questo periodo, fino a novembre, tutti i pescatori, dilettanti e professionisti, facevano bottino di centinaia e centinaia di piccoli tonni.

Si può immaginare il danno alla specie che veniva perpretato catturando pesci di un chilo che potenzialmente potevano raggiungere i 300 chili e più.

Anche perché bisogna considerare che il tonno comincia a riprodursi tardi, dopo i 3 o 4 anni, quando è lungo circa 1 m e pesa non meno di 20 kg. Senza considerare le decine di tonnare di Cetara che per anni hanno pescato i grossi tonni nel periodo della riproduzione.

Quindi secondo te il divieto di pesca dei piccoli tonni da parte dell’Unione Europea è stato un bene?

Senz’altro, anche se è stato difficile far applicare il divieto perché la pesca del tonnetto era entrato nella cultura popolare e ogni famiglia, durante il periodo di pesca, si faceva la scorta per l’inverno di tonno sott’olio. Per fare rispettare il divieto ci sono stati dei veri e propri blitz della finanza per cogliere sul fatto i pescatori di frodo. Qualcuno a Erchie ha dovuto pagare multe fino a ottomila euro.

Mi sembra di aver capito che il divieto venga ora rispettato e che quando a traino si prende per caso un tonnetto questo venga ributtato in acqua. Ma andando indietro nel tempo puoi raccontare come funzionava la pesca alle ‘tunnacchie’ con tuo padre?

Inizialmente si pescava a traino andando avanti e indietro lungo la costa e sperando di prendere qualcosa in corrispondenza dei promontori. Il bottino era sempre magro: al massimo si prendevano una decina di tonnetti o palamiti.

Anch’io da ragazzo ho fatto questo tipo di pesca. Uscivo da solo all’alba con la barca a motore trascinando dietro quattro lenze con due ami per ciascuna. Ricordo che andavo avanti e indietro dalla torre del tommolo fino alla cullata e pescavo più che altro palamiti. Era un’emozione incredibile quando nella semioscurità dell’alba, con il mare ancora leggermente increspato dalla brezza di terra, si incontrava un banco di palamiti che tutte insieme si buttavano sulle piume bianche di gabbiano che coprivano gli otto ami. Era molto difficile districarsi tra quattro lenze e otto pesci e riuscire a gestire ogni singola lenza. Ricordo che a volte, da vero dilettante, decidevo di tirare le quattro lenze tutte insieme facendo un gran casino a bordo. Ma veniamo alla tua esperienza con i tonnetti.

Questa è stata la tecnica della pesca dei tonnetti a Erchie fino alla fine degli anni sessanta del secolo scorso. Come dicevo prima, era una pesca poco fruttuosa. Poi qualcuno notò che un pescatore di Maiori, ‘o carcerate, tornava a riva sempre con centinaia di tonnetti. ‘O carcerate pescava molto più al largo di noi e, anche da lontano, si capiva che non si muoveva tanto con la barca, evidentemente usava una tecnica di pesca diversa. Non ci volle molto a capire la tecnica che usava.

Qual’era il segreto  ‘ro carcerate?

I tonni, specialmente se giovani, si spostano in banchi e possono aggregarsi ad altre specie simili come sgombri, palamiti, alletterate. Il segreto era quello di intercettare uno di questi banchi lanciando di tanto in tanto qualche alice in mare e muovendosi con la barca molto lentamente. Non appena un tonnetto afferra una di queste alici di pasturazione, tutto il banco si avventa famelico in quella direzione. A questo punto dalla barca si alimenta l’eccitazione del banco lanciando qualche alice in più e sotto la barca diventa tutto un ribollire di pesci affamati. Una volta che il banco di pesci è sotto la barca il gioco è fatto, non serve nemmeno mettere l’esca sull’amo, basta buttare l’amo in acqua e subito tre o quattro pesci vi si avventano sopra. In questo modo, in cinque dieci minuti, si possono mettere in barca qualche quintale di piccoli tonni.

Hai qualche episodio particolare della pesca al tonnetto da raccontare?

Una volta avevo notato da lontano un gruppo di barche con i pescatori che si davano un gran da fare a tirar pesci a bordo: evidentemente erano su un grande banco di pesci. In questi casi è vietato per buona norma avvicinarsi, il ‘menale’ è di chi lo trova. Io non avevo ancora preso niente ed ero molto tentato di avvicinarmi ma mi sono trattenuto e mi sono limitato a scorrere lungo la tangente ad una certa distanza dall’area riservata buttando in mare qualche alice in più. Sarà stato per le mie alici più fresche fatto sta che ad un certo punto mi sono trovato tutto il menale sotto la mia barca mentre gli altri pescatori non prendevano più niente. Con fare naturale mi sono allontanato verso il largo dalle altre barche tenendo sotto di me il banco di tonnetti. Solo quando sono giunto ad una certa distanza ho cominciato a buttare le lenze in mare. In pochi minuti ho messo ha bordo 115 tonnetti di oltre un chilo l’uno.

Parliamo un po’ di te caro Pasqualino. Ricordo che eri un bravo calciatore già quando giocavamo sulla sabbia della spiaggia di Erchie o sul terreno di Apicella. Hai poi fatto carriera nel calcio?

Carriera proprio no, ma ho giocato per 10 anni in seconda categoria dilettanti. Ricordo in particolare un gol spettacolare che feci a Maiori e che strappò gli applausi anche dei tifosi della squadra avversaria.

La solita rete in sforbiciata?

No. Ero in corsa con il pallone ai piedi verso la porta avversaria ed ero circondato davanti e ai lati dai difensori. Non avevo compagni a cui passare la palla, allora, sempre correndo, feci un colpo di tacco facendomi passare la palla da dietro in avanti sopra la testa e prima che toccasse terra la colpii al volo di destro mandandola in rete.

Una rete da moviola. Oltre che giocare a calcio hai studiato?

Sì mi sono prima diplomato perito chimico a Salerno, poi mi sono  laureato a Napoli come Ingegnere chimico. Dopo la laurea mi sono dato all’insegnamento.

Intanto ti eri sposato.

Si, ma prima ho fatto il servizio militare. Ho fatto il CAR in Liguria, precisamente a Diano Castello, poi ho fatto un corso per aiuto artificiere a Piacenza ed infine sono stato assegnato a Persano, abbastanza vicino a casa da poter andare in permesso a casa abbastanza spesso in macchina.

Come hai conosciuto tua moglie?

E’ stata una storia di amore sbocciata sulla spiaggia e sul mare di Erchie. Mia moglie, Anna Maria Bozzetti, veniva in vacanza ad Erchie con la famiglia e ci siamo innamorati complice l’atmosfera romantica di Erchie.

Hai avuto tre figli maschi che sono diventati tutti bravi musicisti.

Sì, il primo Armando diplomato al pianoforte a pieni voti insegna in provincia di Benevento. Poi ci sono i gemelli Antonio e Fabrizio. Antonio, diploma di sassofono, suona in complessi Jazz anche a Roma e insegna a Frascati. Infine Fabrizio, diploma di violino, suona nella orchestra sinfonica del Teatro Verdi di Salerno e insegna a Salerno.

Grazie Pasqualino per questa bella intervista. Chiudo postando una recente foto della tua bella famiglia con la piccola Chiara appena nata.